Parole e Silenzi per Risvegliare le Coscienze – Via Sancti Romualdi 2022

Venerdì 23 settembre 2022 – RIDOTTO DEL TEATRO GOLDONI DI BAGNACAVALLO

Parole e Silenzi per Risvegliare le Coscienze
Letture da Pier Paolo Pasolini, David Maria Turoldo e lettere dalla Resistenza

con: Ivano Marescotti – Gian Luigi Melandri – Daniele Morelli

A seguire brindisi per l’ inaugurazione del sito wwwcamminosanromualdo.it

Dal 2012, millennio di fondazione dell’Eremo di Camaldoli, facendo memoria viva della fi gura di San Romualdo nato a Ravenna e grande riformatore della chiesa in senso evangelico, abbiamo instaurato un rapporto con i padri camaldolesi ed aperto un cammino con Trail Romagna e il CAI
Ravenna che dalla Basilica di Classe, in sette tappe, seguendo Montone e Lamone porta a Camaldoli e nelle splendide Foreste Casentinesi.
I luoghi romualdini attraversano tutta la penisola italiana e vanno anche verso i Pirenei (Abbazia di Cuxa) e verso l’Istria (fiordo di S. Michele in Leme), poi in Polonia, delineando una vera e propria Europa dei pellegrini. Un’Europa sognata a Ventotene da menti lungimiranti di cui abbiamo bisogno più che mai per Resistere contro inimicizie, guerre insensate e crisi ambientale!

Don Giovanni Minzoni. Memorie 1909 – 1919

a cura di Rocco Cerrato e Gian Luigi Melandri

Don Giovanni Minzoni - Memorie 1909-1919, a cura di Rocco Cerrato e Gian Luigi Melandri, Ed. Diabasis, 2010
Copertina

Il volume dedicato al Sacerdote di Argenta ucciso dai fascisti il 23 agosto 1923 perché distoglieva i giovani dall’inquadramento di regime, raccoglie le pagine del diario in un arco di dieci anni: dal 1909 al 1919, dall’ordinazione sacerdotale alle prime esperienze pastorali, alle crisi spirituali alla Prima guerra mondiale. Il volume è dedicato a Don Lorenzo Bedeschi e basato su carte raccolte anche da quest’ultimo e dedicato pure a Mons. Salvatore Baldassarri di origini faentine, amato Vescovo di Ravenna di linea conciliare ed innovativa il cui vento soffia ancora nonostante opposizioni e resistenze, entrambi interpreti dello spirito di Don Minzoni.

David Maria Turoldo – La vita, la testimonianza (1916-1992)

Mariangela Maraviglia, David Maria Turoldo, La vita, la testimonianza (1916-1992), Ed. Morcelliana, 2016
Copertina del libro

“Poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini” Così l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini salutava padre Turoldo celebrandone il funerale l’8 febbraio 1992. Operò nella Milano della Resistenza, nella Firenze di La Pira e a Sotto il Monte, terra di Giovanni XXIII dentro e fuori i canoni dell’Ordine dei Servi di Maria. Traduttore dei Salmi, autore di inni e poesie, animatore di lotte per la giustizia, la pace e la promozione dell’uomo e della donna. Mariangela Maraviglia con grande competenza e rigore ricostruisce in modo scientifico la vicenda umana culturale e spirituale di David Maria Turoldo .

L’autrice

MARIANGELA MARAVIGLIA, dottore di ricerca in scienze religiose, si è occupata di figure e movimenti del cattolicesimo contemporaneo impegnati in ambito sociale e nel dialogo ecumenico e interreligioso. Membro del comitato scientifico della Fondazione don Primo Mazzolari, tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Don Primo Mazzolari. Con Dio e con il mondo (Magnano 2010); la curatela di Sorella Maria di Campello – P. Mazzolari, L’ineffabile fraternità. Carteggio [1925-1959] (Magnano 2007); le edizioni critiche di P. Mazzolari, Tempo di credere (Bologna 2010) e Della fede (Bologna 2013).

Semplicemente una che vive – Vita e opere di Adriana Zarri

Mariangela Maraviglia, Semplicemente una che vive, Vita e opere di Adriana Zarri, Ed. Il Mulino, 2020
Copertina del libro

Adriana Zarri (1919 – 2010) scrittrice, teologa, eremita, donna impegnata per i diritti delle donne, contemplativa e attiva in politica, ha lottato per il rinnovamento della Chiesa prima e dopo il Concilio Vaticano II, amante della natura, dell’agricoltura, degli animali, ha intrattenuto rapporti con personaggi come Giannino Piana, Mario Tronti, amica di benedetto Calati, Rossana Rossanda, Pietro Ingrao, Sergio Zavoli, Luigi Bettazzi, Marie-Dominique Chenu, Ernesto Balducci, Giovanni Franzoni… Ha scritto per Rocca, Il Manifesto, Settegiorni, Anna. Nata nella pianura di San Lazzaro di Savena è vissuta nella pianura eremitica piemontese di Strambino (vicino a Ivrea, TO) una vita piena… Si è autodefinita “semplicemente una che vive”… Ha scontato il suo essere donna – teologa – controcorrente. Una grande Voce

L’autrice

Mariangela Maraviglia, dottore di ricerca in Scienze religiose, si è occupata di personalità del cristianesimo contemporaneo impegnate in ambito sociale e nel dialogo ecumenico. È autrice, tra l’altro, di «David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza (1916-1992)» (Brescia, Morcelliana, 2016); «Don Primo Mazzolari. Con Dio e con il mondo» (Magnano, Qiqajon, 2010); e curatrice di Sorella Maria di Campello, Primo Mazzolari, «L’ineffabile fraternità. Carteggio (1925-1959)» (Magnano, Qiqajon, 2007).

IL CAMMINO DI ROMUALDO – 9 giugno 2022

Cammino a piedi alla scoperta del monaco riformatore

Giovedì 9 giugno 2022 – dalle ore 8

Ritrovo a Sant’Alberto (Ravenna) presso la chiesa omonima e visita con la prof. Ottaviana Foschini.

Inizio del cammino lungo le valli per 8 km, con letture tratte dalla Laudato Si’ di papa Francesco.

Arrivo al santuario di Madonna del Bosco e proposta di una condivisione-orante dell’esperienza vissuta.
Ristoro offerto da Amici della Madonna del Bosco.

Poi presso Agriturismo L’Angelina (relax con piscina e pranzo) in via Puglia 18, Alfonsine.

Realizzato da Rete Rurale in collaborazione con Progetto Eden della parrocchia di Alfonsine e Ass.ne Romagna – Camaldoli di Ravenna e Ass.ne Compagnia Beato Nevolone di Faenza e Trail Romagna.

San Romualdo al Pereo

Tempi Profetici

Sabato 18 dicembre 2021 – ore 17,00

Casa Matha
Piazza Andrea Costa, 3 – Ravenna

Maurizio Viroli
Professore emerito di “Teoria politica”, Princeton University

in dialogo con

Luciano Manicardi
Monaco, Priore del Monastero di Bose

Maurizio Viroli, Tempi Profetici, Ed. Laterza, 2021

Conduce l’incontro

Stefano Kegljevic
(Libertà e Giustizia, circolo di Ravenna)

Partecipano

Sauro Mattarelli
Daniele Morelli
Maria Paola Patuelli

Organizzato da

Circolo di Ravenna
Comitato in difesa della Costituzione di Ravenna
Sezione di Ravenna “Sauro Camprini”

in collaborazione con
Associazione Romagna-Camaldoli

Per una spiritualità del mondo

Sabato 13 novembre 2021
ore 20:45
TEATRO GOLDONI
Piazza della Libertà 17, Bagnacavallo

Incontro con

GABRIELLA CARAMORE

autrice del libro “La parola Dio” (Einaudi 2019) e conduttrice di “Uomini e Profeti, Radio3”

Saluti dell’Amministrazione Comunale

Introduce
DANIELE MORELLI 
Presidente dell’Associazione Romagna-Camaldoli

Incipit musicale:
GIACOMO SANGIORGI, pianoforte,
VALENTINA SILINGARDI, oboe

L’accesso avverrà in regola con le disposizioni relative al Green Pass.
Info e prenotazioni: 0545 280889 – cultura@comune.bagnacavallo.ra.it,
Giorgio Gualdrini: 347 145 3029 – pggualdrini@gmail,com

Resistenza e resa: Franz Jägerstätter e Dietrich Bonhoeffer – La relazione

Pubblichiamo la relazione del prof. Emanuele Mariani agli Incontri d’Autunno 2021, serata del 4 ottobre 2021 presso Cinema Europa di Faenza, e la registrazione audio dell’incontro stesso.

(Relazione in PDF)

(Registrazione audio della serata)

Dietrich Bonhoeffer & Franz Jaegerstätter

prof. Emanuele Mariani
Filosofo, Università di Bologna e Lisbona

Accanto a Franz Jaegerstätter è quasi istintivo evocare Dietrich Bonhoeffer. E bastano, del resto, pochi accenni biografici per capirne il motivo. Dietrich Bonhoeffer fu un pastore protestante, luterano, tedesco, teologo e filosofo di grandissimo spessore, nato nel 1906 e morto il 9 aprile del 1945, a soli 39 anni, nel campo di concentramento di Flossenbürg, a pochissimi giorni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Figura del bene oltre il male, Dietrich Bonhoeffer condivide con Franz Jaegerstätter un destino comune: entrambi sono vittime della barbarie nazista; entrambi, al prezzo della vita, sono stati capaci di fare una scelta d’una semplicità disarmante se confrontata con la complessità della situazione storica, sociale e politica: dire semplicemente di no al male. Bonhoeffer fu ucciso per impiccagione a causa della sua implicazione nel putsch del 20 luglio 1944, tentato e non riuscito, che mirava all’eliminazione del Führer, Adolf Hitler. Come Jaegerstätter anche Bonhoeffer porta il titolo di “martire”: per la giustizia e per il bene. Come Jaegerstätter, Bonhoeffer è cristiano e il senso delle sue azioni è fondamentalmente riconducibile a un orizzonte di fede.

Martirio & colpa

Ma diversamente da Jaegerstätter, Bonhoeffer non viene ucciso a causa della sua fede. E qui va colto, fin da subito, un primo elemento che ci permette d’apprezzare la specificità della figura di Bonhoeffer rispetto a quella di Jaegerstätter. Bonhoeffer fu imprigionato a causa della sua partecipazione all’attività cospirativa di un gruppo politico. Il gruppo dell’ammiraglio Canaris, che si costituì all’interno dei servizi segreti dell’esercito tedesco, l’Abwehr, in cui Bonhoeffer fu introdotto nel febbraio del 1938 dal cognato Hans von Dohnányi, giurista, che, come lui, venne arrestato il 5 aprile 1943 per poi essere giustiziato il 9 aprile 1945. Diversamente da Jaegerstätter, Bonhoeffer non fu posto di fronte all’alternativa tra l’essere cristiano o morire; tra il rinnegare Cristo o il vivere in Cristo. Bonhoeffer diventa martire rendendosi colpevole, insieme ad altri, credenti e non credenti, di una trasgressione motivata, nel suo caso specifico, da un atto di fede. L’alternativa di Bonhoeffer non sta allora, come per Jaegerstätter, tra il martirio o la colpa – la colpa, cioè, di rinnegare la propria fede pur d’aver salva la vita. Martirio e colpa per Bonhoeffer vanno, al contrario, e paradossalmente, insieme. L’azione che Bonhoeffer cerca a tutti i costi di compire porta all’infrazione non solo della legge civile, ma di un comandamento divino: “non uccidere”. La testimonianza di Bonhoeffer è allora tanto più complessa ed emozionante, e allo stesso tempo, come cercherò di farvi vedere, di una estrema coerenza sul piano esistenziale e intellettuale – una testimonianza d’umanità che, come nel caso di Franz Jaegerstätter, è tra le più belle in uno dei frangenti più drammatici e bui della nostra storia.

Resistenza e resa

Resistenza e resa, come sapete, è il titolo della raccolta di scritti, per lo più lettere, che Bonhoeffer invia durante i due anni di prigionia alla famiglia e agli amici più intimi, dal 1943 al 1945, dal carcere di Tegel, a Berlino, dove, nel 1943 si trovava, tra l’altro, anche Franz Jaegerstätter. In questi scritti Bonhoeffer riflette, ovviamente, più volte sul paradosso che segna la sua esistenza di uomo e di credente: assumersi la responsabilità di una colpa per compiere un’azione che si vuole responsabile, e il cui senso non solo s’impone come necessario, bensì è fondato in Cristo. In una lettera del 28 luglio 1944 Bonhoeffer scrive alla famiglia:

“[…] mi sono domandato con inquietudine se fosse veramente la causa di Cristo quella per cui do tante preoccupazioni a voi tutti”

Chi stabilisce, potremmo a nostra volta commentare per esprimere il senso di questa inquietudine, il confine tra il bene e il male? E come non cadere nel fanatismo nel momento in cui si uccide, foss’anche Hitler, in nome di Dio? Come poter continuare a dare un senso al mondo in cui viviamo se si sospendono i principi che ci permettono di vivere insieme, ovvero la legge? Come Jaegerstätter anche Bonhoeffer può considerarsi un obiettore. Il suo atto di “disobbedienza” ha, tuttavia, un altro significato, sensibilmente diverso. Bonhoeffer è pienamente cosciente del paradosso a cui si espone e delle conseguenze, etiche, politiche e sociali, che ne derivano: la legge non può essere trasgredita senza colpa. E la trasgressione, una volta compiuta, porta con sé un grandissimo pericolo: la soppressione del limite che divide il legittimo dall’arbitrario. Dirà Bonhoeffer:

“Chi fa dell’emergenza un principio e stabilisce così la propria legge accanto alla legge viene prima o poi distrutto”

Questa formula, oggi, torna purtroppo per noi a essere famigliare: “fare dell’emergenza un principio”. L’emergenza della crisi, politica o sanitaria, come alcuni filosofi alla moda amano dire, avrebbe sospeso il nostro stato di diritto istituendo, al suo posto, arbitrariamente, uno “stato d’eccezione”; le misure speciali si sostituiscono alle leggi ordinarie e dal conflitto tra legalità e legittimità arriveremmo ad una sospensione del diritto paradossalmente legalizzata.

Attualità di Bonhoeffer

Bonhoeffer alla luce dei nostri tempi è certamene attuale. Ma questa sua attualità implica una differenza essenziale che, se confrontata con il nostro presente, appare, per così dire, profondamente inattuale. Il problema dell’eccezione per Bonhoeffer non riguarda, infatti, in primo luogo l’autorità, lo Stato, bensì il singolo che si oppone all’autorità. Il problema è, in primo luogo, di chi disobbedisce. E tutto sta nel fare di quest’eccezione, qualora sia necessaria, qualcosa di assolutamente eccezionale, un unicum che mira al ripristino immediato della legge. L’atto di disobbedienza, per non contraddirsi, deve, cioè, poter rimanere civile; non può che essere civile se vogliamo che sia efficace; e deve essere necessariamente efficace se vogliamo che abbia un senso per noi, nel mondo in cui viviamo.

Tutto questo – afferma Bonhoeffer – per una semplice ragione: è il successo che fa la storia. Ignorare l’importanza, anche etica, del successo, significherebbe esporsi a una serie di contraddizioni irresolubili. Chi, per esempio, combattendo, si immolasse davanti a un’inevitabile sconfitta senza produrre effetti duraturi rischierebbe di trasformarsi in un Don Chisciotte troppo distante dalla realtà, che scambia i mulini a vento per giganti. Credere, invece, che basti restar puri per sconfiggere il male significherebbe cadere nel fanatismo di chi trasforma ogni cosa in una questione di principio, perdendo di vista l’essenziale – come il toro che, nell’arena, combatte il drappo rosso e non il torero. E chi è disposto a scendere a patti con il male per evitare il peggio, sacrificando i principi in nome di un’azione che reputa necessaria, rischia di non capire che il peggio che vuole evitare potrebbe, in realtà, essere il meglio.

Di fronte all’eccezionalità degli eventi, Bonhoeffer si sente chiamato a compiere una trasgressione che deve giustificarsi tanto sul piano politico quanto sul piano teologico, davanti agli uomini e davanti a Dio. Solo così l’azione che ne risulta potrà essere un’azione responsabile. La disobbedienza di Bonhoeffer è, dunque, in questo senso, una disobbedienza civile, una disobbedienza pienamente responsabile, ovvero, per dirlo in altro modo, una disobbedienza ubbidiente, capace d’assumersi il rischio che il destino ci impone per realizzare la promessa di futuro che siamo chiamati a compiere.

Bonhoeffer socratico

Per quanto possa sembrare paradossale, Bonhoeffer, in questo senso, è una figura socratica. E personalmente – apro qui una parentesi un po’ polemica in riferimento al dibatto d’attualità – trovo singolare che Socrate, il padre della filosofia, non sia quasi mai evocato dai nostri filosofi alla moda. Socrate, come sapete, viene ingiustamente condannato a morte; condannato per aver messo in discussione le opinioni dei potenti; condannato sulla base di capi d’imputazione pretestuosi. Eppure, consapevole dell’ingiustizia, Socrate preferisce morire piuttosto che fuggire. E la ragione, ancora una volta, è semplice: “[…] è meglio subire un’ingiustizia piuttosto che commetterla”. Gli amici e i familiari di Socrate tentano invano di convincerlo che sia meglio fuggire dal carcere; che sia meglio restare in vita, almeno per i figli, a costo di dover vivere lontano da casa, a costo di rinnegare i propri principi. Per Socrate, invece, come per Jaegerstätter e per Bonhoeffer, ciò che conta non è vivere, ma vivere bene, secondo giustizia. E se ingiustizia c’è stata, non la si cancella violando le leggi – la colpa non è delle leggi, ma degli uomini. Anche nella morte di Socrate possiamo, allora, cogliere il senso di una disobbedienza ubbidente che mette gli uomini di fronte alle loro responsabilità, assumendosi pienamente la propria.

Disobbedienza ubbidiente

Il titolo che è stato dato alla raccolta di scritti di Bonhoeffer, resistenza e resa, dice con altre parole la stessa cosa: disobbedienza ubbidente. Queste due parole, l’una accanto all’altra, “resistenza” e “resa”, compaiono in una lettera del 21 febbraio 1944, dove Bonhoeffer scrive:

“Spesso, mi sono chiesto dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al destino”

La difficoltà sta, cioè, nel capire come resistere senza cadere in una testarda ostinazione che farebbe di noi un Don Chisciotte inutilmente eroico senza, d’altra parte, arrendersi alla realtà dei fatti, come un Sancho Panza,per comodità, per cinismo o per vigliaccheria. E qualora la situazione ci privasse d’alternative, bisogna comunque far sì che qualcosa di “nuovo” nasca. Quando, cioè, tutte le vie d’uscita risultano ugualmente insopportabili e insensate, bisogna andare oltre. Passo dopo passo, avanzando su un terreno sconosciuto dove i limiti non sono più prestabiliti, e far sì che l’azione che siamo chiamati a compiere marchi una differenza essenziale di fronte all’indifferenza del destino.

La guida & l’inganno

Leggendo la biografia di Bonhoeffer, ciò che più colpisce è che tutto questo è chiarissimo fin da subito. Nel 1933, a soli 27 anni, appena un mese dopo che Hitler è diventato cancelliere, Bonhoeffer, già professore assistente di teologia all’Università di Berlino, invitato a una trasmissione radiofonica, esprime la sua opinione sull’entusiasmo dei più giovani per il Führer. Dirà queste parole:

“Se la guida <cioè il Führer> si lascia andare al vizio di coloro che dovrebbe, invece, guidare e che lo trasformano in un idolo, allora la guida <cioè il Führer> si trasforma in un disguido, in un ingannatore. Diventa idolo di se stesso. E non rispetta né la sua missione, né tantomeno Dio”

Si tratta di una delle primissime critiche espresse pubblicamente contro il Führer. E come potete immaginare, la trasmissione radiofonica fu immediatamente interrotta. Bonhoeffer, ovviamente, non si ferma qui. Nel 1935, dopo essere stato sospeso dall’insegnamento, e dopo aver viaggiato come pastore a Barcellona, Londra e New York, entra nella Chiesa confessante. Per chi non lo sapesse, la Chiesa confessante è un movimento di chiese protestanti che si formò in Germania a partire dal 1934 in opposizione alla Chiesa del Reich e ai cosiddetti “Cristiani tedeschi” ideologicamente vicini al regime nazista. Per la Chiesa confessante, Bonhoeffer dirige il seminario di Finkenwalde vicino a Stettino dove, in condizioni di semi-clandestinità, forma i futuri pastori, dal 1935 al 1937. Nel 1938 il seminario viene chiuso dalla Gestapo. Bonhoeffer, allora, continua la sua attività di formazione clandestinamente. Nel 1939 parte per New York dove, contrariamente ai piani iniziali, resta solo per due settimane. Convinto della necessità di dover affrontare e vivere in prima persona le prove del popolo tedesco, torna in Germania, con la speranza di poter partecipare, un giorno, quando la guerra sarà finita, alla ricostruzione della Chiesa. Entra così a far parte dei piani cospirativi dell’ammiraglio Canaris, in virtù dei suoi contatti ecumenici internazionali. Il compito di Bonhoeffer è di informare gli Alleati dell’esistenza di un movimento di resistenza tedesco e cercarne un supporto e, in prospettiva, negoziare, dopo la resa, le condizioni di pace. Il 5 aprile 1943 viene arrestato. Rimane in carcere per due anni fino a quando, il 4 aprile 1945, vengono scoperti i diari dell’ammiraglio Canaris. Rabbioso, Hitler scopre chi c’è dietro il tentato putsch e ordina che tutti i cospiratori siano uccisi. Bonhoeffer, rivolgendo le sue ultime parole a un prigioniero inglese, sopravvissuto, mentre lascia la cella per andare al patibolo dirà:

“È la fine – per me l’inizio della vita”

L’azione responsabile

Qual è il senso di quest’inizio oltre la fine? Per tentare una risposta è necessario fare un passo indietro e soffermarsi su una questione preliminare che, per Bonhoeffer, è essenziale: com’è possibile che qualcosa di “nuovo” avvenga quando tutte le alternative sono precluse? Quando la ragione e il diritto non bastano più per combattere le potenze che governano il mondo? La risposta è disarmante: affidarsi. Bisogna affidarsi, ovvero, dice Bonhoeffer, essere disponibili. A cosa esattamente? Alla responsabilità. La responsabilità di restare interamente uomini, nonostante tutto. Uomini che non si lasciano lacerare dagli eventi. Da qui nasce l’azione responsabile. Ed è qui che Bonhoeffer smette, per così dire, di essere socratico, facendosi pronto a tutto per resistere a un’autorità ingiusta, ormai priva di legittimità.

Si potrebbe, però, obbiettare che anche il terrorista d’oggi usa lo stesso argomento per combattere, al costo della vita, un’autorità che reputa illegittima. C’è, tuttavia, una differenza fondamentale: l’azione per Bonhoeffer risponde a una chiamata che ci chiede d’essere “uomini completi”, “perfetti”, capaci, cioè, di guardare non alla parte, ma al tutto. E non si diventa uomini “perfetti” da soli, né gli uni contro gli altri, bensì insieme agli altri. Il bene richiede la totalità. Ma chi è capace di volere la totalità, se non chi è disposto ad andare oltre sé, affidandosi a una volontà altra che decide della nostra vita nella sua totalità?

Oltre il male

Oltre il male, per Bonhoeffer significa questo: l’ubbidienza a una chiamata da cui nasce l’azione responsabile. Questa è la grazia che ci è data per mantenerci saldi nelle avversità. Se dovessi esprimere tutto questo con altre parole, oserei proporvi, per concludere, un’immagine. Oltre il male, questa grazia coincide con l’immagine di un peso. Sì, un peso, ciascuno il suo. Il peso che siamo chiamati a portare. Come la madre, per esempio, che porta in sé chi nascerà; come gli innamorati che si portano reciprocamente; come il lutto di chi porta su di sé chi non c’è più; come l’uomo che porta il peso dell’altro uomo. Portare, ovvero portarsi gli un gli altri, perché il peso sia lieve, perché il peso unisce, tutti indistintamente. Siamo portati dal nostro peso. Sant’Agostino, a suo tempo, si chiedeva quale fosse il peso dell’anima? C’è chi direbbe: 21 grammi. Risposta sbagliata! Secondo un’antica dottrina, il peso indicherebbe per ogni cosa il suo luogo naturale. Il fuoco, per esempio, va verso l’alto perché sta in alto, la pietra in basso. Anche per l’anima vale, allora, lo stesso. Il peso che la porta, le fa capire, dovunque si volga, quale sia il suo luogo naturale. E Agostino conclude: pondus meus, amor meus, “mio peso è il mio amore: dovunque mi volga, esso mi volge”.